Nei Yoga Sutra di Patanjali, Ahimsa è il primo dei Yama, ovvero le linee guida fondamentali per chi pratica yoga. È il principio che ci invita a non nuocere a nessun essere vivente – e questo include anche noi stessi.
Molti lo interpretano come un invito a non essere aggressivi, a non fare del male agli altri. Ma Ahimsa è molto di più: è una chiamata alla gentilezza, al rispetto e alla cura, in ogni ambito della vita. E quando si tratta del corpo, diventa essenziale per vivere lo yoga in modo autentico e duraturo.
La maggior parte di noi si avvicina allo yoga attraverso il movimento. Alcuni cercano forza e flessibilità, altri vogliono alleviare dolori e tensioni.
Nella mia esperienza di insegnante, ho incontrato tantissimi giovani attratti dalla parte fisica dello yoga, che volevano raggiungere posizioni sempre più avanzate. Allo stesso tempo, ho lavorato con molte persone di mezza età che arrivavano alla pratica perché avevano mal di schiena, rigidità nel collo, tensioni accumulate da anni di posture scorrette e stress.
Indipendentemente dall’età e dalla motivazione iniziale, tutti, prima o poi, si trovano di fronte alla stessa verità: lo yoga non è solo un esercizio fisico. È un viaggio di ascolto e rispetto per il corpo.
Una pratica regolare offre la possibilità di conoscere il proprio corpo da una nuova profondità. Non si tratta solo di migliorare la mobilità, ma di imparare ad ascoltare sensazioni che prima ignoravamo.
Molti miei allievi mi raccontano di aver scoperto parti del corpo che erano praticamente dimenticate. Si rendono conto di tensioni che portavano avanti da anni, imparano a percepire dove sono bloccati e dove c’è bisogno di più attenzione e cura. Questo è un passaggio potentissimo, perché la consapevolezza somatica porta naturalmente a scelte più salutari.
Ho visto persone cambiare alimentazione in modo spontaneo, senza forzature o diete punitive, semplicemente perché hanno iniziato a sentire cosa faceva bene al loro corpo. Altri hanno smesso di abusare di sostanze tossiche, come il fumo o l’alcol, non perché "dovevano", ma perché il corpo, finalmente ascoltato, chiedeva qualcosa di diverso.
Quindi, se da un lato Ahimsa è un prerequisito per la pratica, possiamo anche dire che è una delle sue conseguenze più belle. Quando impariamo ad ascoltare e rispettare il nostro corpo, la non violenza diventa una scelta naturale, non un’imposizione.
C’è un altro aspetto fondamentale di Ahimsa che riguarda direttamente la nostra pratica quotidiana: come ci relazioniamo al nostro corpo sul tappetino?
Questa è una domanda che dobbiamo porci spesso, soprattutto se tendiamo ad avere un atteggiamento perfezionista o competitivo.
Spesso, spinti dall’entusiasmo di raggiungere un certo risultato – o magari perché vediamo qualcun altro in classe che riesce a fare una posizione più avanzata – finiamo per ignorare i segnali del corpo e ci facciamo male.
Qualche esempio?
Tutto questo non è yoga. Quando pratichiamo senza ascolto, senza rispetto per i nostri limiti, stiamo andando contro Ahimsa.
Lo yoga è una pratica che può accompagnarci per tutta la vita, ma solo se lo facciamo con gentilezza e intelligenza. Altrimenti, il rischio è di farci male e doverci fermare.
Ahimsa è il primo principio dello yoga, e in un certo senso è la base su cui costruire tutto il resto. Se non c’è rispetto per il corpo, per i suoi tempi e per le sue necessità, non può esserci una pratica autentica e duratura.
Allo stesso tempo, più pratichiamo con consapevolezza, più Ahimsa diventa una conseguenza naturale:
E questa trasformazione non resta solo sul tappetino. Ahimsa si riflette in tutte le nostre scelte di vita, dalla cura di sé alla relazione con gli altri.
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